I congressi dei naturalisti italiani fra scienza e politica. Per i 150 anni dell'Unità  d'Italia
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1841 Firenze

«Sceglievano la città di Firenze per la sede alla loro terza Riunione gli scienziati italiani, perché questa scelta li richiamava sì alla terra che, dopo avere ridestate le arti e le lettere, fu cuna alla filosofia sperimentale, sì alla reggia in cui fu accolto l’alto pensiero di questa nuova e grande istituzione, e in cui il magnanimo Principe innalza al divino Galileo un tempio, ove nei manoscritti e negli strumenti di lui si serberà raccolta tanta parte della gloria italiana». Si giustificava così, come un tributo alla gloriosa storia fiorentina, una decisione ratificata al congresso di Torino, ma presa di fatto da Carlo Luciano Bonaparte al congresso di Pisa, con così poco riguardo per i colleghi da apparire al Presidente del Buongoverno «una rampata alla napoleonica».

Dal 15 al 30 settembre 1841 convennero a Firenze in 888, più del doppio che a Pisa. Presidente generale l’ormai veterano Cosimo Ridolfi, segretario l’ingegner Ferdinando Tartini. Fra i responsabili delle sezioni (Agronomia e tecnologia; Zoologia, anatomia comparata e fisiologia; Fisica, chimica e matematica; Mineralogia, geologia e geografia; Botanica e fisiologia vegetale; Scienze mediche) e fra i presenti in generale, personalità che avrebbero segnato il futuro della Toscana e dell’Italia, come Gino Capponi, Giuseppe Montanelli, Luigi De Cambray Digny, Bettino Ricasoli, Vincenzo Salvagnoli, e per la prima volta un giovane Carlo Matteucci. La fama delle riunioni scientifiche cominciava ad attirare i non addetti ai lavori e si registra a Firenze anche la presenza di chi con le scienze aveva poco a che fare, ma mirava a contatti e scambi che andavano oltre le discipline in discussione. Pur con giudizi contrastanti, intervennero fra gli altri Giuseppe Giusti, Melchiorre Missirini, Pietro Contrucci, Silvestro Centofanti, Giovambattista Niccolini, Antonio Guadagnoli, Giuseppe Poggi, Enrico Mayer. La risonanza dell’evento solleticava ormai la vanità di chi aveva più interesse alle passerelle che al sapere, e le sale si gremirono anche per il presenzialismo degli incompetenti, tanto da ispirare una delle satire tenute diligentemente agli atti dalla polizia. Ironizzando sull’appalto della ristorazione affidato alla storica casa Doney e su una partita di fieno incendiatasi alle Cascine, qualcuno affisse un volantino: «come farà Donné per dare il digiuné agli scienziati, se alle Cascine i fieni son bruciati?».

Svaniti i timori di sedizioni e sommosse, Leopoldo II gareggiò in grandezza con Carlo Alberto. Per l’occasione fece erigere nel Museo di fisica e storia naturale una Tribuna affrescata, interamente dedicata a Galileo, destinata a contenere strumenti e carte che lo Stato toscano si era fatto carico di raccogliere. Durante i lavori del congresso favorì la sottoscrizione per un’edizione completa delle sue opere, che avrebbe affidato a Eugenio Albèri, i cui primi volumi si sarebbero visti di lì a qualche anno. Incaricò Vincenzo Antinori di curare una nuova edizione dei Saggi di naturali esperienze, offerta poi allusivamente ai membri di un risorto Cimento. Una nuova guida di Firenze fu commissionata a Pietro Thouar (coadiuvato da Emanuele Repetti e Giuseppe Gazzeri), che sperimentò una formula nuova, tanto da destare l’attenzione della Censura, i cui funzionari considerarono come un’ingerenza sconveniente le domande poste a istituzioni e a imprese private con l’intento di fornire notizie utili a un pubblico avvertito, che andassero oltre le semplici informazioni turistiche.