I congressi dei naturalisti italiani fra scienza e politica. Per i 150 anni dell'Unità  d'Italia
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1846 Genova

Al Milano i marchesi Camillo e Francesco Pallavicino insieme a Lorenzo Pareto si erano dati un gran daffare per far ottenere a Genova la nomina a sede dell'ottavo congresso. Un voto aveva ricevuto anche Bastia, e non fu difficile farlo risalire al Bonaparte. Si mirava a celebrare con più risonanza possibile il centenario della cacciata dell'esercito imperiale da Genova (tutto sommato non da molto annessa al Regno di Sardegna) in occasione della guerra di successione austriaca. Carlo Alberto di Savoia non fu esattamente entusiasta, ma confidò nella nobiltà locale come argine alle intemperanze, pur di non passare per retrivo e oscurantista.

Quello genovese fu il più italiano dei congressi fin lì tenuti, sia per l'aria che si respirò, testimonianza dell'approssimarsi di cataclismi politici, sia per la copertura "nazionale" delle presenze. Per la prima volta, infatti, si contarono fra i 1062 intervenuti anche gli scienziati provenienti dallo Stato della Chiesa, autorizzati da Pio IX, eletto da pochi mesi al soglio pontificio e un po' frettolosamente acclamato come papa liberale. I lavori si svolsero dal 14 al 29 settembre. Si era scelto come presidente generale il marchese Antonio Brignole Sale, ministro della Repubblica di Genova delegato al Congresso di Vienna, poi diplomatico per conto del Re di Sardegna, bollato per un bigotto clericale che tuttavia aveva intuito come questi congressi non mirassero solo «allo scopo, benché rilevantissimo, dell'incremento delle scienze», ma anche «alla estinzione delle basse rivalità locali, all'ingentilimento insomma degli italiani costumi». Segretario generale il marchese Francesco Pallavicino. Le 9 sezioni (Agronomia e tecnologia; Fisica e matematica; Chimica; Zoologia, anatomia comparata e fisiologia; Botanica e fisiologia vegetale; Geologia e mineralogia; Geografia e archeologia; Medicina; Chirurgia e anatomia), videro, fra scienziati e amatori italiani e stranieri, personalità come Massimo d'Azeglio, Mariano d'Ayala, Giovanni Berchet, Angelo Brofferio, Cesare Correnti, i botanici Antonio Bertoloni e Giuseppe De Notaris, l'entomologo Massimiliano Spinola, Enrico Tazzoli, che sarebbe morto impiccato per ordine di Radetzky fra i martiri di Belfiore.

Per l'occasione fu fatta costruire un'imponente strumentazione per esperienze fisiche, fu donata una nuova guida di Genova, furono offerti ricevimenti e balli a Palazzo Serra e nei saloni del marchese Pallavicino. Cristoforo Colombo la fece da padrone nelle celebrazioni e persino la moglie di Pasquale Stanislao Mancini lo rievocava verseggiando nei salotti. Al teatro Carlo Felice si diede un concerto di beneficenza il cui ricavato andò alle vittime del terremoto e dell'alluvione in Toscana. Nelle aule del congresso gli animi si infiammarono da ambo le parti alla relazione di Cesare Cantù sulle strade ferrate italiane, gli «arieti che daranno di cozzo contro le barriere elevate tra fratelli e fratelli», dando provocatoriamente per «impresa già combinata fra Piemontesi e Svizzeri» la linea Genova-Coira, la «sardo-elvetica», che tanto atterriva gli austriaci.