Sbarcato appositamente nel 1844 a Napoli senza passaporto e in divisa da colonnello della Repubblica di San Marino, Carlo Luciano Bonaparte riuscì a convincere Ferdinando II di Borbone re delle Due Sicilie ad accogliere nella propria capitale il settimo congresso degli scienziati. Era giunta anche una lettera di Leopoldo II di Toscana, affinché fossero aperte le porte di Napoli. Pur disorientato dai consigli contraddittorii dei propri collaboratori, alla fine il sovrano si risolse ad acconsentire. «Spirava l’aura mossa dal Gioberti – interpretava Luigi Settembrini – e il Re, che sapeva di essere tenuto come nemico di ogni sapere, per mostrar falsa l’accusa, volle il Congresso, ed ordinò che gli scienziati fossero accolti ed ospitati splendidamente, ed invitati anche a Corte».
La riunione si svolse dal 20 settembre al 5 ottobre 1845. Dei 1613 intervenuti molti erano i regnicoli, presenti per la prima volta e provenienti da tutte le province, al di qua e al di là del Faro. Fra i numerosi presidenti, vicepresidenti e segretari, frutto evidentemente di equilibrismi tra meriti scientifici, gerarchie accademiche e status socio-politico, furono eletti presidente generale Nicola Santangelo, ministro degli interni del Regno dalla fama un po’ dubbia, tanto da esser definito dal Settembrini «un civettino che ha la boria di saper tutto, dottissimo solo in rubare», segretario generale Giacomo Filioli, ascritto all’Accademia Pontaniana e al Real Istituto d’incoraggiamento alle scienze naturali; Pasquale Stanislao Mancini per la sezione di Agronomia e tecnologia, Raffaele Piria per Chimica, Stefano Delle Chiaie per Zoologia, anatomia comparata e fisiologia, Vincenzo Lanza per Medicina, Leonardo Santoro per Chirurgia, Macedonio Melloni (una delle personalità di maggior spicco poi soprannominato «il Newton del calorico» per i suoi studi innovativi sulle radiazioni) per Fisica e matematica, Michele Tenore per Botanica e fisiologia vegetale, Lorenzo Pareto per Geologia e mineralogia. Da segnalare nella neonata sezione di Archeologia e geografia, con la quale si ufficializzava per la prima volta il rango scientifico di discipline non direttamente legate allo studio della natura, l’iscrizione fra gli amatori di Angelo Camillo De Meis e Francesco De Sanctis, allora ventottenne professore di letteratura presso il Regio Collegio militare. Neppure a Napoli mancarono personalità estere, dal celeberrimo Theodor Mommsen al pittore e critico d’arte Ernst Joachim Förster, a Wolfgang Maximilian Goethe, giurista e nipote di Johann Wolfgang.
Si inaugurò l’Osservatorio Vesuviano, il tipografo Gaetano Nobile stampò una nuova guida di Napoli e dintorni, offerta agli scienziati per facilitare la visita della città. Il Real Collegio di Musica mise a disposizione orchestra e sala per intrattenere i congressisti, ricevuti anche a Palazzo Reale per una festa di gala e trasportati da uno stuolo di carrozze noleggiate per l’occasione dal sindaco di Napoli. Lo sfarzo dell’accoglienza non riuscì a coprire lo stato reale della città, le condizioni fatiscenti e malsane di carceri e ospedali. Una commissione medica effettuò numerosi sopralluoghi, riscontrando trattamenti agghiaccianti sui pazienti e una mortalità del 77%. Negli Atti non se ne fece motto, il Ministro insabbiò, salvo esser cacciato dal Re l’anno seguente dopo la pubblicazione della relazione a Milano.