Dietro la scelta di Venezia come sede del nono congresso si sospettò un intento di sfida all’Austria. La situazione politica era ormai incandescente e Milano aveva già visto manifestazioni represse. Carlo Belviglieri racconta di una Venezia ancora sonnolenta, dove «parve che le intelligenze della penisola venissero a scambiarsi l’ultima parola prima d’impegnarsi nella lotta, che non lontana si presentiva».
Se il governo della città non negò il permesso e concesse a tutti il visto d’ingresso, tradì la propria insicurezza dislocando nelle sale delle riunioni, nei ritrovi pubblici, nei teatri «un nugolo di spie», funzionari e militari che fornivano rapporti quotidiani su quanto ascoltavano nelle sedute del congresso, come ai tavolini dei caffè. Fra i partecipanti si videro perciò il generale Karl Ludwig von Ficquelmont, il barone Karl Alexander Hügel, diplomatico, botanico ed esploratore che avrebbe favorito la fuga in Inghilterra del Metternich, l’ammiraglio Bernhard von Wüllerstorf-Urbair, Giovambattista Bolza, ex direttore della «Rivista viennese» e allora ufficiale presso il Consiglio di Stato a Vienna, il colonnello Giovanni Marinovich, comandante dell’Arsenale che sarebbe stato linciato l’anno successivo dalla folla inferocita. Il congresso si tenne dal 14 al 24 settembre, qualche giorno in meno rispetto agli altri per la sospensione dei lavori della sezione zoologica, causa le intemperanze di Carlo Luciano Bonaparte che arringava le folle su temi scottanti in divisa da guardia civica romana, con tanto di elmetto e di fascia tricolore. Fu invitato a lasciare lo Stato. Presidente generale fu eletto il patrizio Andrea Giovannelli, socio onorario dell’Ateneo Veneto, coadiuvato dal geologo Lodovico Pasini, segretario generale. Fra gli amatori e i 1478 iscritti alle 9 sezioni il medico Ferdinando Coletti, l’avvocato Sebastiano Tecchio, i poeti Aleardo Aleardi e Giovanni Prati, il pedagogista Giovanni Aporti, il geologo Roderick Impey Murchison, il botanico Robert Brown, l’archeologo e numismatico Anton Steinbüchel von Rheinwall, l’orientalista Karl Friedrich Neumann, il geografo Karl Ritter, lo storico Alfred von Reumont, il filologo e traduttore Karl Ludwig Kannegiesser, lo storico dell’arte Charles-Jules Labarte, il poeta Heinrich Stieglitz che combatté contro l’Austria all’arsenale a fianco degli insorti veneziani.
Anche Venezia offrì in dono ai congressisti una nuova guida, anzi, molto di più che una guida, un’opera in quattro volumi che dava un affresco di Venezia e della sua storia da molteplici prospettive. Il capitolo sulla giurisprudenza veneta fu affidato a Daniele Manin, che sostenne le maggiori garanzie nel processo penale della Serenissima (fatta salva la «macchia» del rito inquisitorio) rispetto a quello della Venezia austriaca. Daniele Manin partecipò a numerose sedute, trattando temi giuridici, letterari, sociali, economici con toni esplicitamente antiasburgici, tanto da indurre la polizia a farlo pedinare. Furono offerti ricevimenti, concerti e un’imponente regata storica. Ma la seduta conclusiva non fu da meno quanto a concorso di popolo: la polizia riferì di 3000 persone che costrinsero a traslocare il congresso nella sala del Gran Consiglio. Relatore per la sezione geografico-archeologica Cesare Cantù. Interdetto, il funzionario di polizia si limitò a rilevare gli applausi «frenetici» esplosi all’appello alla fraternità nazionale di una platea che all’ingresso del Viceré «serbò silenzio di morte». Gli atti del congresso, forse sequestrati, non uscirono mai. Non molti mesi dopo, il 1848.