La scelta della sede per il decimo congresso seguì, segno dei tempi, una via tortuosa. A Napoli pare ci si fosse impegnati per eleggere Palermo, ma il governo del Regno si affrettò ad informare che nessuna riunione scientifica si sarebbe tenuta sul suo territorio. La speranza di ottenere da Pio IX il permesso di convergere su Roma si rivelò malriposta: il papa non vietava ai propri sudditi di partecipare, ma non ma non permetteva si valicassero i confini pontifici, «esigendosi all’uopo presso di noi – riferiva il segretario di Stato cardinale Pasquale Gizzi – molta maturità». Chi non si rassegnava ai divieti propose Bologna, sempre Stato della Chiesa, ma più periferica e meno simbolica di Roma. Racconta Nicolò Priuli di come già fosse in lizza anche Siena, ma uno dei soliti guizzi del Bonaparte, «oratore poco avventurato» nel sostenerne la candidatura, fece «traboccare le votazioni a favore di Bologna che ebbe una maggioranza di oltre sessanta voti più della metà». Ma il consenso papale non arrivò mai, ritardando di un anno una scelta quasi obbligata, visto che a quei chiari di luna non si sarebbero trovati sovrani disponibili ad aprire le porte delle proprie città, al di là del Granduca di Toscana.
A Siena l’arrivo del congresso fu visto come un’occasione irripetibile di sviluppo. «La città nostra per tre secoli non ha vissuto che di memorie – scriveva un giornale locale – ed è la melanconica contemplazione e meditazione di esse che maggiormente può rendere interessante la nostra terra agli occhi ed ai cuori italiani». Ci fu un concorso generale all’organizzazione: si diedero da fare l’Università, l’Accademia dei Fisiocritici e quella dei Tegei, i circoli privati, in particolare quello di Giuseppe Porri, libraio e tipografo dai trascorsi mazziniani, attorno alla cui bottega si radunavano gli intellettuali senesi. Carcerato nel 1833 a Livorno per i suoi legami con la società segreta dei “Fratelli di Bruto”, il Porri accarezzava idee liberali ed era in rapporti intrinseci con l’ambiente fiorentino che faceva capo a Giovan Pietro Vieusseux. Incaricato di allestire un nuova guida di Siena da offrire ai congressisti, vi coinvolse storici locali e fiorentini, fra i quali Gaetano Milanesi. Presidente generale era stato eletto il conte Giovanni Pieri Pecci, pluriaccademico e presidente della Strada ferrata centrale toscana nonché della Banca senese; segretario Giuseppe Vaselli professore di geometria all’Università di Siena, amico e corrispondente del Giusti.
Ma da marzo la Toscana è in guerra con l’Austria a fianco degli insorti nel Lombardo-Veneto. Nel corpo volontario parte anche qualcuno dei collaboratori all’organizzazione del congresso. La macchina si ferma, prosegue solo la stesura della guida, ma per poco. Nel luglio i giornali annunciano, di fronte ai «gravi casi politici in ogni parte della Penisola e allo stesso commuoversi delle armi italiane», il rinvio della riunione all’anno successivo. Ma di anni ne sarebbero passati quattordici.