«Oh! Che vorrebbero forse che ogni anno i Congressi ci dessero scoperte da paragonare a quelle di Galileo e di Newton? A chi domandasse quale utile sia già venuto da quelle assemblee, risponderemo: uno grandissimo, la coscienza del sapere nazionale». Replicava così Cesare Correnti a chi criticava i risultati effettivi dei congressi scientifici, all’epoca di quello di Lucca. Molta acqua era passata sotto i ponti, quando nel 1861 l’Accademia dei Georgofili propose di «ristabilirli» e di «migliorarli, ora che l’alito della libertà poteva centuplicarne i vantaggi», convocando per l’ottobre un congresso straordinario a Firenze. L’Italia era una, pur senza Roma e le Venezie, e dal 17 marzo Vittorio Emanuele II era stato incoronato re. Tuttavia il punto era ancora chiaro per i Georgofili e per il loro presidente Cosimo Ridolfi: «l’Italia, quando altro non era nell’ordine politico che un aggregato di Stati mancipi e divisi, già aveva conseguita la sua unità nell’ordine intellettuale, mercé de’ congressi scientifici».
Presidente per acclamazione fu Cosimo Ridolfi, segretario il letterato pratese Ermolao Rubieri, responsabile degli Atti dei Georgofili, fresco di lotte risorgimentali. Motivo principale della convocazione «le mutate condizioni della patria diletta», che richiedevano «una qualche riforma nel regolamento organico», per facilitare i raduni anche nelle piccole città, «fatte più semplici le forme e resi gli apparecchi men dispendiosi», sì che «minor tempo andasse disperso in sollazzi e più ne restasse dedicato ai serii studii ed alle scientifiche disputazioni». Un altro mondo. Prima di tutto si riformarono le sezioni, divise nelle due grandi classi principali di Scienze fisiche, matematiche e naturali, e di Scienze morali e sociali, riammesse quest’ultime dopo la revoca del veto imposto oltre vent’anni prima da Leopoldo II di Toscana e segno anche di tempi in cui fiorivano le discussioni sull’applicazione del metodo positivo alle discipline storiche e filologiche. Alla prima classe appartenevano le sezioni di Fisica e matematiche; Chimica e farmaceutica; Mineralogia, geologia e paleontologia; Botanica; Zoologia, anatomia comparata e fisiologia; Medicina; Chirurgia; Agronomia e veterinaria; Tecnologia. Alla seconda classe le sezioni di Archeologia; Filologia e linguistica; Statistica ed economia politica; Filosofia e legislazione. Una proliferazione di sezioni dovuta all’esponenziale aumento delle conoscenze e alla conseguente necessità di specializzazioni via via maggiori, nella quale si fa notare la collocazione incerta della filosofia, evidentemente in cerca di identità, dal momento che una bella fetta di verità era ormai preda delle scienze. Per il resto, modifiche organizzative: le riunioni diventavano biennali, autofinanziate, promuovevano «dimostrazioni sperimentali o lezioni pubbliche», nella convinzione che «questi trattenimenti molto meglio delle feste e delle rappresentanze teatrali servono alla istruzione universale».
Fra i 255 partecipanti non moltissimi i veterani delle riunioni naturalistiche, diversi dei quali ormai anziani, se non traslocati nel regno dei più, a cominciare dall’incontenibile Bonaparte. Intervennero fra gli altri Carlo Matteucci, Gabriele Costa, Filippo Parlatore, Quintino Sella, Carlo Burci, Carlo Berti Pichat, Giovanni Battista Giorgini, Giuseppe Orosi, commissari al nuovo regolamento, oltre a Raffaele Busacca, Augusto Conti, Oronzo Gabriele Costa, Achille Gennarelli, Gilberto Govi, Angelo Marescotti, Giovanni Omboni, Francesco Protonotari, Salvatore Tommasi, Pasquale Villari, nomi, molti, in odore di secol novo. Ma i volenterosi organizzatori non avevano fatto i conti col fluire delle cose, e non sarebbe bastato un nuovo regolamento a rinvigorire l’istituzione dei congressi.