I congressi dei naturalisti italiani fra scienza e politica. Per i 150 anni dell'Unità  d'Italia
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1873 Roma

A Siena si era scelta Roma come sede per l'undicesimo congresso, che avrebbe dovuto tenersi nel 1864. È difficile giustificare un ritardo di tredici anni unicamente con le vicende politiche e le campagne belliche. Nel 1873, dopo la terza guerra d'indipendenza e la presa di Roma, il territorio italiano era unito e integro, salvo Trento e Trieste. Tuttavia, nel discorso inaugurale Terenzio Mamiani, eletto presidente generale, qualche spiegazione provava a darla: «per vero non è l'Italia ancora così una intellettualmente come è per governo e per leggi. La scienza piuttosto che respirarvi una vita comune sembra angustiarsi nella vita di ciascuna provincia e i dotti vi si compiacciono forse troppo e contentansi della gloriuzza acquistata in paese. I gagliardi cimenti sono schivati con destrezza e dissimulazione. L'esempio dell'altre nazioni è giudicato troppo discosto, troppo alto o non imitabile». Il Mamiani aveva poco meno di ottant'anni e aveva assistito a qualcuna delle gloriose riunioni del risorgimento, dove aveva probabilmente avvertito spinte all'unità culturale e intellettuale maggiori di quelle che avvertiva ora a unità politica avvenuta. Ma l'Italia aveva ancora interesse a essere «una intellettualmente»?

I rappresentanti della vecchia guardia, cui veniva prevalentemente affidata la presidenza delle sezioni, si contavano ormai sulle dita, e a scorrere i nomi di vicepresidenti, segretari e in generale dei 261 intervenuti, si respira l'aria di un'epoca nuova. Segretari generali, il geologo Giuseppe Ponzi per la classe di scienze fisiche e per la classe di scienze morali Onorato Caetani, futuro sindaco di Roma, deputato e senatore fino al 1917. Nelle singole sezioni, con l'ormai attempato Luigi Federico Menabrea, Pietro Blaserna per Fisica e matematica; con Carlo Maggiorani, Ercole Pasquali per Medicina e chirurgia; con Stanislao Cannizzaro, Fausto Sestini per Chimica, farmaceutica, agronomia, tecnologia, veterinaria; con Giuseppe Ponzi, Giovanni Capellini e Achille Costa per Zoologia, fisiologia, mineralogia, geologia, paleontologia, botanica; con Raffaele Busacca, Antonio Ponsiglioni per Economia politica e statistica; con Terenzio Mamiani, Paolo Emilio Imbriani per Filosofia, legislazione, pedagogia; con Michelangelo Caetani, Giacomo Lignana per Archeologia, storia, filologia. In sala Francesco Acri, Michele Amari, Guido Baccelli, Giacomo Barzellotti, Giuseppe Battaglini, Carlo Cantoni, Felice Casorati, Luigi Cremona, Ulisse Dini, Domenico Gnoli, Arturo Issel, Cesare Lombroso, Paolo Panceri, Felice Tocco. Fra i non molti stranieri, attratti dalla città eterna come non lo erano stati dalla provincia toscana, Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff.

Nuovo lo Stato, nuova la legislazione, nuovo l'assetto delle discipline, nuova l'idea della scienza e del sapere in generale, sempre più appannaggio delle università e sempre più avulsi dalla società civile, vecchi i congressi. Aveva ancora senso proseguire? Se lo chiesero a Roma e fra i due partiti, nei quali giocarono le appartenenze alle singole discipline, ad atenei centrali o periferici, a potentati universitari più o meno influenti, prevalse il sì. Nella seconda adunanza plenaria «fu stabilito che i congressi generali debbano essere mantenuti, ma convenientemente modificati». «È istituita un'associazione o società degli Scienziati italiani - proseguiva la proposta - ad imitazione dell'associazione britannica e dell'associazione francese per l'incremento delle scienze». Ad imitazione delle antiche riunioni restava solo una nuova guida di Roma.