«E di vero, o signori, potevasi egli interrompere una istituzione nata più che altro a testificare e riconfermare l'amicizia e la parentela, la stima loro scambievole e la devozione ardente nella patria comune, potevasi, dico, interrompere, non avendo ancor visitata Palermo, capo di quest'isola incantevole, di questa perla la più lucente e preziosa di tutto il Mediterraneo, e la quale in ogni tempo insegnava all'Italia come si odia e come si spezza il giogo degli stranieri?». Nuovamente eletto presidente, il venerando Terenzio Mamiani, con toni un po' demodé intendeva sottolineare di aver mantenuto la parola data ormai trent'anni prima, in occasione della riunione napoletana del 1845, di tenere un congresso anche a Palermo, dodicesimo e ultimo dei congressi scientifici, e contemporaneamente il primo della Società italiana pel progresso delle scienze. Un ciclo poteva così dirsi concluso.
Costituita nel precedente appuntamento romano la Società aveva riconosciuto un comitato centrale di seniori in Terenzio Mamiani (presidente), Michele Amari, Cesare Correnti, Stanislao Cannizzaro, Pietro Blaserna, Leone De Sanctis, Luigi Galassi (segretario). Dieci le sezioni (Matematiche, astronomia, fisica e meteorologia; Ingegneria; Chimica e mineralogia; Zoologia, anatomia comparata, botanica e geologia; Anatomia, fisiologia e medicina; Geografia, antropologia, etnografia e linguistica; Filologia, storia ed archeologia; Statistica, economia e scienza politica; Scienze legali; Filosofia e pedagogia), in un'organizzazione del sapere che mutava di anno in anno. Fra i 788 soci giunti a Palermo nell'agosto, ai quali non fu negata una nuova guida della città, nomi noti e qualche novità: Ruggero Bonghi, Vito Cusumano, Alessandro D'Ancona, Francesco De Sanctis, Antonio Labriola, Giuseppe Pitrè, Pio Rayna, Joseph Ernest Renan, Annibale Riccò, Sidney Sonnino, Felice Tocco.
La Società si diede un proprio regolamento, che stabiliva finalità, diritti di accesso, metodi organizzativi dei congressi e dei loro atti verbali, del reperimento e della gestione dei fondi, organi direttivi e amministrativi. Ci si proponeva, mettendo ben in chiaro che non si sarebbe invaso il campo di accademie e istituti scientifici, «di offrire ad essi un mezzo naturale e scambievole di collegamento, di promuovere in modo più stabile e più efficace, di quanto non lo potessero fare i congressi passati, i convegni tra i varii cultori di scienze», mirando «non solo a provocare relazioni personali e fuggevoli scambi di idee», ma anche «a collegare durevolmente i loro sforzi intorno a intendimenti comuni», nonché «a tener vivo l'interesse per l'alta coltura scientifica nel pubblico, sollecitandolo a cooperare a sì nobile fine». Scopi un po' più asettici di quelli dichiarati dal Presidente nell'adunanza generale del 29 agosto, nel tentativo di allontanare il pericolo della nascita di «una piccola aristocrazia di dotti e studiosi», per «rappresentare invece, nei termini del fattibile, buona parte della nazione, ed anzi… la nazione intera» e «cooperare agl'incrementi del sapere e alla dilatazione loro in tutti gli ordini di cittadini»: questo era chiesto all'Italia, «come vendicazione laboriosa, ma giusta e sacra dell'avito suo patrimonio». Nato e vissuto in un'altra epoca, l'ottantenne Mamiani appariva un po' troppo influenzato dalle reminiscenze di vecchi intenti, e proprio in questa sua «fede» e nella sua «ammiranda ostinazione», mentre l'utilità dei congressi continuava ad essere in discussione e le astensioni a Palermo erano state «troppe e troppo importanti», Paolo Mantegazza vide la molla principale della riuscita di una manifestazione che a suo dire aveva avvicinato l'Italia alla Francia, all'Inghilterra, alla Germania, agli Stati Uniti. «È vero però - concludeva - che in tutti quei paesi vi sono meno astensioni e più lavoratori».