Introduzione
Sono passati 150 anni da quando, il 12 giugno 1861, Bettino Ricasoli veniva proclamato, dopo Cavour, secondo Presidente del Consiglio del Regno d’Italia. Di lì a pochi anni altri quattro scienziati, Luigi Carlo Farini (1862), Luigi Federico Menabrea (1867), Giovanni Lanza (1869) e Benedetto Cairoli (1878) avrebbero ricoperto il medesimo incarico. Ancora più numerosi furono gli scienziati che, durante lo stesso periodo, diressero i ministeri chiave del Regno. Mai prima di allora i naturalisti italiani erano stati chiamati ad assumere incarichi politici di importanza anche solo lontanamente paragonabile. E mai più sarebbe accaduto nei governi che seguirono.
L’elemento comune ai numerosi scienziati chiamati al governo del Regno d’Italia non furono tanto le idee politiche, né tanto meno le affinità scientifiche, ma la loro partecipazione alle riunioni che, a partire dal 1839, accompagnarono con cadenza più o meno regolare la formazione di una nuova comunità nazionale di intellettuali.
Nei tredici congressi degli scienziati italiani che si svolsero dal 1839 al 1875 presero parte non meno di 5000 studiosi provenienti da tutte le parti della Penisola. Fatta eccezione per i teologi, nessun altra categoria intellettuale seppe darsi un’organizzazione altrettanto efficace e rumorosa. L’egemonia secolare esercitata da letterati e filosofi, lasciava la scena, sia pur per una breve stagione, a una nuova intellighenzia sostenuta da nuovi interessi. Dopo decenni di silenzio, gli scienziati italiani venivano allo scoperto rivendicando un ruolo guida nella creazione di uno spirito unitario. Le riforme proposte dai congressisti non miravano a intaccare lo status quo degli stati di cui, nella maggior parte dei casi, erano fedeli rappresentanti, bensì la cultura che ne reggeva le politiche economiche, radicata com’era in un ancién regime di tipo feudale, per lo più indifferente ai progressi scientifici e tecnologici. Il valore universale della scienza, l’utilità delle sue applicazioni e i profitti che Stato e privati potevano ricavare da una loro adeguata valorizzazione, conferirono ai Congressi un ruolo insieme pedagogico e politico.
I Congressi degli scienziati italiani si tennero a partire dal 1839 con cadenza annuale fino al 1847, quando a Venezia la nona riunione fu interrotta dalla polizia austriaca; le riunioni non ripresero che dopo l'Unità d'Italia, nel 1861 a Firenze con una riunione straordinaria, nel 1862 a Siena, nel 1873 a Roma e nel 1875 a Palermo.
Tra gli obiettivi che gli scienziati si diedero durante le riunioni spiccano quelli relativi all'adozione del sistema metrico decimale, l'uniformazione delle statistiche in campo sanitario, l'elaborazione di una carta geologica dell'Italia, la creazione di un erbario Italiano e la pubblicazione di una 'Farmacopea uniforme Italiana'. Non meno importanti furono i tentativi di gettare le basi per un nuovo modello della pubblica istruzione, decisamente più sensibile all’insegnamento della scienza e delle tecniche. Vivaci discussioni animarono la controversia sulle applicazioni tecnologiche ad una rete industriale nascente. Alle forti spinte verso la modernizzazione non pochi partecipanti opposero una concezione che metteva l’agricoltura al centro dello sviluppo economico nazionale. Anche se di tutti questi progetti e dibattiti solo una minima parte ebbe esiti operativi, la comunità scientifica rappresentata nei Congressi ne uscì decisamente rafforzata, tanto da conservare nel tempo lo spirito unitario che l’aveva ispirata. Su iniziativa del chimico Stanislao Cannizzaro, nel congresso del 1873 venne istituita la Società italiana per il progresso delle scienze ancora oggi attiva.
Durante i Congressi vennero promosse moltissime attività complementari ai lavori propriamente scientifici: messe, balli, banchetti, spettacoli, commemorazioni e guide turistiche diedero ai partecipanti l’opportunità di mettersi in vista, sottolinendo così la valenza socio-culturale della scienza. Criticate da alcuni scienziati come effimere, le iniziative di contorno conferirono alla scienza italiana un prestigio culturale da tempo assente nell’opinione pubblica colta. La realizzazione di templi, statue, monumenti, pubblicazioni divulgative, guide topografiche ed edizioni commemorative intercettarono l’attenzione di un pubblico che fino ad allora aveva identificato la cultura nazionale quasi esclusivamente con i classici letterari e l’educazione cattolica.
Ma chi erano i protagonisti di questi Congressi? La tipologia dei partecipanti ha subito, col tempo e soprattutto con l’acquisita unificazione del Regno, importanti cambiamenti. Inizialmente, i delegati chiamati a partecipare erano i membri delle accademie scientifiche, i professori universitari di scienze e medicina, i direttori di studi, gli alti ufficiali del Genio militare, di direttori delle miniere, degli orti botanici e i prefetti dei musei naturalistici. A questa comunità si aggiunsero ben presto, ma non senza polemiche, dilettanti, aristocratici e possidenti e, a partire dagli ultimi congressi, archeologi, storici e filosofi. Il progressivo allargarsi della platea dei partecipanti costituisce un segnale del successo riscosso dai Congressi. Tuttavia, solo uno studio prosopografico potrà gettare luce sulla variegata popolazione dei Congressi. Tale studio, in preparazione, sarà pubblicato in appendice alla presente mostra nei prossimi mesi.
Nell’esposizione virtuale che qui presentiamo ci si potrà fare una prima idea della ricchezza di temi affrontati dai Congressi. Trattandosi di una mostra, la selezione dei documenti è necessariamente limitata e riflette in misura preponderante le collezioni presenti nell’Archivio del Museo Galileo e rimandiamo alla guida della mostra per ulteriori delucidazioni sui criteri che hanno guidato la nostra selezione.
Marco Beretta
Firenze, 10 giugno 2011