Ambito fiorentino
Iscrizione, busto in gesso di Galileo derivato da una perduta scultura di Giovanni Caccini, 1674
Iscrizione a memoria della traslazione in chiesa delle spoglie di Galileo, Affresco, 1737
Storia della prima sepoltura
Il 9 gennaio 1642, giorno successivo alla morte, il corpo di Galileo, senza cerimonie e alla sola presenza di amici e parenti strettissimi, fu portato in Santa Croce, con una benedizione quasi furtiva per timore che venisse posto il veto alla sepoltura in terra consacrata. La tomba di famiglia, dove lo stesso Galileo aveva disposto per testamento di essere seppellito, fu evidentemente giudicata troppo in vista, tanto da spingere esecutore ed eredi a contravvenire in parte alle volontà, lasciando il feretro in uno stanzino sottostante l'antico campanile, a fianco della cappella dei Medici.
Ferdinando II, assente al funerale clandestino come tutti i notabili toscani, aveva però in mente la costruzione di un sepolcro monumentale, gemello di quello di Michelangelo Buonarroti, da erigersi di rimpetto, a celebrazione delle glorie nazionali che nel connubio di arte e scienza avevano contribuito a far grande il suo casato. Informato, il papa convocò l'ambasciatore Niccolini per far arrivare all'orecchio del Granduca la propria contrarietà alla pubblica esaltazione di un condannato per sospetto di eresia, che sarebbe stata di cattivo esempio di fronte al mondo intero. Frattanto il cardinal nipote Francesco Barberini contattava l'Inquisitore di Firenze ponendo una serie di vincoli stringenti nel caso il Granduca avesse perseverato nel suo progetto, che tuttavia cadde, per l'inopportunità di proseguire lungo quel percorso troppo irto di ostacoli.
L'umiliazione in morte che aveva seguito la persecuzione in vita non fece che accrescere fra coloro che a Galileo erano stati più vicini il desiderio di vedergli riconosciuti quegli stessi onori tributati a personalità di pari grandezza. Vincenzo Viviani in particolare fece della costruzione di un sepolcro celebrativo per il maestro uno degli obiettivi della vita, che di lì in avanti consacrò alla riabilitazione della sua figura.
Sfumati i tentativi di rimediare a quella sorta di dannazione della memoria di Galileo, nonostante il lancio di una sottoscrizione fra gli amici e i colleghi europei, e l'appoggio del principe Leopoldo de' Medici e del fratello Granduca, il Viviani optò per lasciare almeno una traccia nella sepoltura esistente, e nel 1674 con l'aiuto di Gabriele Pierozzi, rettore dei novizi in Santa Croce, fece dipingere sulla parete del loculo un cartiglio dalle acrobatiche circonvoluzioni linguistiche, parto inconfondibile del suo stile, su cui fu apposto un busto tratto dalla maschera funebre di Galileo.
Una seconda lapide, in cui Simone di Bindo Peruzzi lamentava il lungo tempo trascorso dalle spoglie di un uomo di simile levatura "senza onore, ma non senza lacrime", fu incorniciata sotto, al momento della traslazione delle ossa nel nuovo sepolcro monumentale.