Automi e cultura di massa: letteratura e cinema

Tra il 1816 e il 1817 Mary Shelley scrisse Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo. La fortuna di questo racconto lo portò dalla carta stampata agli schermi cinematografici e televisivi, inaugurando un proficuo intreccio tra letteratura, cinema, fumetti e arti visive che ha generato innumerevoli narrazioni su un futuro popolato da automi, ostili o amici. Oggi che la produzione di automi è divenuta realtà concreta, scrittori, registi e artisti esplorano con crescente realismo le implicazioni etiche e sociali dell'avvento dei robot. Capostipite della cinematografia fantascientifica sugli automi è il film Metropolis di Fritz Lang (1927), che tocca molte delle questioni relative al rapporto umano-macchina. Sullo stesso tema indaga Stanley Kubrick in 2001 Odissea nello spazio (1968), mettendo al centro della storia il super computer HAL 9000. Blade Runner di Ridley Scott (1982) è la pietra miliare della filmografia dedicata agli androidi non meccanici; la storia è ispirata al romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep? di Philip K. Dick (1968), la scenografia al fumetto The Long Tomorrow di Moebius (1976). Nel panorama italiano spicca Nirvana di Gabriele Salvatores (1997), che affronta l'ibridazione tra corpo biologico e innesti robotici, portando sullo schermo le tematiche della letteratura cyberpunk, in particolare di William Gibson e del suo romanzo Neuromante (1984). Temi ripresi da Matrix (1999) di Lana e Andy Wachowski, anch'esso ispirato a un fumetto, l'italiano Razzi amari (1992) di Stefano Disegni e Massimo Caviglia. I più recenti Her (2013) ed Ex Machina (2015), infine, esplorano la dimensione del sentimento nella relazione umano-robotico, suggerendo nuove forme di ibridazione che espandono l'immaginario del XXI secolo.