I principi geometrici
“La pictura tre parti contiene in sé principali, quali diciamo essere disegno, commensuratio et colorare […] Delle quali tre parti intendo tractare solo della commensuratione, quale diciamo prospectiva”
Quando Piero giunse a Firenze nel 1439 per lavorare con Domenico Veneziano ai perduti affreschi di Sant’Egidio, trovò una città in pieno fermento economico e culturale. Lorenzo Ghiberti lavorava ai bassorilievi della Porta del Paradiso mentre le opere di Donatello e Masaccio già manifestavano da tempo la straordinaria innovazione figurativa introdotta da Filippo Brunelleschi con l’invenzione della prospettiva lineare. Da pochi anni, nelle botteghe dei pittori circolavano anche gli scritti di Leon Battista Alberti, gli Elementa picturae e il De pictura (1435/36), che proponevano, soprattutto il secondo, una codificazione teorica del nuovo linguaggio pittorico. I due scritti esponevano i principi basilari della geometria euclidea con il linguaggio dei pittori, conferendo concretezza alle definizioni astratte del pensiero matematico. Come Alberti, Piero fu costretto a modificare le definizioni euclidee di punto, linea e superficie, adeguandole alle necessità grafiche del pittore. Pur mostrando di conoscere e cogliere l’essenza del concetto matematico di punto (“punto è la cui parte non è”), Piero preferì definire il punto come “una cosa tanto piccholina quanto è possibile all’occhio comprendere” (I, pref.), un segno piccolissimo ma abbastanza grande da poter essere compreso entro un dato angolo visivo. Il rigore e la prolissità di Piero derivavano dal suo essere al tempo stesso artista e matematico.