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Studio di ruote perpetue a sbilanciamento
Nel foglio 473r del Codice Atlantico, riconducibile al 1490, si osserva come Leonardo stesse progressivamente facendo scivolare lo studio del moto perpetuo su un piano sempre più astratto: dai disegni scompaiono i motori idraulici e le macchine operatrici, sostituiti da schemi geometrici o disegni in pianta di ruote articolate. Leonardo appare sempre più concentrato nella ricerca di cinematismi che permettano di rompere l’equilibrio della ruota: le masse in movimento sono soltanto immaginate, sulla carta è disegnata esclusivamente la struttura della ruota, sulla quale sono segnate solo alcune configurazioni particolari del dispositivo, come fossero aiuti visivi per l’ideazione del sistema. In questo foglio Leonardo prende per la prima volta in considerazione l’idea di sostituire i bracci articolati con masse sferiche che, a causa della gravità, si muovono seguendo percorsi asimmetrici disegnati in modo da sbilanciare il sistema. Qui sono sviluppati essenzialmente due tipi di ruota, che potrebbero essere definiti a “sbilanciamento radiale” e a “sbilanciamento periferico”, a seconda del percorso compiuto dalla sfera: dal centro verso la periferia o lungo la circonferenza. Leonardo recupera in questi studi un modello di ruota a raggi asimmetrici, giunto in Europa dalla tradizione indo-islamica, basato sullo spostamento di mercurio in cavità ricavate per l’appunto nei raggi. Egli sostituisce il mercurio con una sfera la quale, grazie alla rotazione del sistema, nella fase di discesa cade verso la circonferenza, mentre nella fase di risalita viene spinta verso il centro. La persistenza della rotazione era ritenuta possibile perché il percorso curvo della sfera nella fase di discesa era convesso e ne provocava la caduta verso il bordo circolare sul quale urtava.
Questi progetti costituiscono un tentativo di sintesi fra i due sistemi di sbilanciamento tradizionali, a masse oscillanti e a spostamento di mercurio, riconducibili alla tradizione araba e prima ancora a quella indiana nell’opera dell’astronomo Bhāskara del XII secolo .