Fino al XIII secolo Archimede fu poco noto in Occidente; l'unica opera in circolazione era la Misura del cerchio. Nel 1269 Guglielmo di Moerbeke, un domenicano che risiedette a lungo presso la corte papale di Viterbo, eseguì la prima traduzione latina di molte delle opere di Archimede, raccolte in un codice oggi conservato alla Biblioteca Vaticana. Faro culturale dell'Occidente, la corte di Viterbo era frequentata da studiosi del calibro del matematico Leonardo Fibonacci, del polacco Witelo, autore di una summa di ottica, di Campano da Novara, a cui si deve l'edizione degli Elementi di Euclide in uso fino al XVI secolo, dal filosofo inglese Ruggero Bacone. La traduzione di Moerbeke, estremamente fedele al testo greco, non ebbe grande seguito: la difficoltà del contenuto rispetto allo stato delle conoscenze, le drammatiche vicende della peste nera e la Guerra dei Cent'anni ne limitarono la diffusione.
Con la riscoperta dei classici, l'Archimede celebrato dagli autori antichi torna alla ribalta. Nel 1447 viene eletto papa Niccolò V, creatore della Biblioteca Vaticana e promotore di numerose traduzioni di testi scientifici, tra cui la nuova versione latina del corpus archimedeo da parte di Iacopo da San Cassiano nel 1450. Le opere di Archimede sono oggetto di attenzione anche da parte del cardinale Bessarione, importante figura dell'Umanesimo, che col matematico Regiomontano (1436-1476) corregge la versione latina di Iacopo da San Cassiano. Un bellissimo codice miniato con gli scritti del Siracusano, copiato nel 1458, è in parte illustrato da Piero della Francesca: su questo manoscritto l'artista esegue una copia di opere di Archimede oggi conservata alla Biblioteca Riccardiana di Firenze. Piero metterà a frutto la conoscenza di Archimede nel Libellus de quinque corporibus regolaribus, mentre Luca Pacioli se ne servirà nella Summa de arithmetica.