Studi di motori perpetui basati sulla vite di Archimede

Durante gli anni Novanta Leonardo approfondisce la lettura delle principali opere di meccanica e geometria antiche e medievali, come gli Elementi di Euclide e il De ponderibus di Giordano Nemorario. In questo periodo i suoi studi sulle “macchine perpetue” diventano sempre più di tipo speculativo e sembrano allontanarsi dalla dimensione fisica della macchina operatrice per concentrarsi invece, in particolare nel caso assai comune delle ruote, sugli elementi meccanici che avrebbero dovuto generare lo sbilanciamento necessario a indurne la rotazione; come se Leonardo si fosse reso conto che, prima di essere affrontato sul piano ingegneristico, il problema del moto perpetuo andava risolto sul piano concettuale. Rilevanti a tale proposito sono gli studi sulla vite di Archimede nel Codice Forster I (ff. 41v, 43v, 45v, 46r, 52r, 54r), nei quali cerca di abbinare alla vite tubi e spire di diametro maggiore in modo che, una volta sollevata, l’acqua si sposti nei canali esterni creando nel sistema quello sbilanciamento necessario a imprimere la rotazione all’intera macchina. Nel foglio 54r Leonardo presenta il modulo base di questa “leva idraulica”, implementabile aumentando il numero dei “principi” (cioè il numero delle spire) della coclea centrale: l’idea era quella di integrare più elementi su uno stesso asse, in modo da sommare le azioni delle singole leve.