Descrizione ed uso dell’elettromotore perpetuo

A inizio Ottocento, lo studio dell’elettricità non era ancora così sviluppato da far comprendere a pieno i limiti della pila ideata da Alessandro Volta (1745-1827) nel 1799. Il funzionamento della pila dipende da una reazione chimica che ne esaurisce più o meno rapidamente i componenti. L’abate Giuseppe Zamboni (1776-1846), professore al Cesareo Regio Liceo-Convitto di Verona, si convinse di poter aggirare il fenomeno evitando l’impiego di acidi. Ne L’elettromotore perpetuo (Verona 1812) descrisse infatti una pila a secco – appunto priva di acidi – di propria invenzione. In questa seconda memoria del 1814, l’autore spiega che “L’Elettromotore perpetuo è una Pila Voltiana in cui la sola umidità naturale e immanchevole della carta separa una dall’altra le coppie elettromotrici […]. Oltre l’essere questa una sorgente perenne di elettricità […] possiede […] la facoltà di attrarre i corpi, e questa proprietà è particolarmente applicata alla macchinetta presente col mettere fra due pile chiuse in colonne di vetro che terminano in una palla […] un pendolo oscillante […].” Zamboni precisa che la “macchinetta” perpetuamente oscillante attivata dall’elettromotore, illustrata in una tavola fuori testo, era costruita “dal Sig. [Carlo] Streizig Oriuolaio in Verona alle due Torri.” Casomai il lettore della memoria se ne fosse voluta procurare una…