L'eruzione del Vesuvio e la storia degli scavi

L'eruzione del Vesuvio
Un violento terremoto aveva danneggiato, nel 62 dopo Cristo, gli edifici di Pompei, ma nessuno sospettò che l’evento indicasse la ripresa dell’attività del Vesuvio, in stato di quiescenza da oltre 300 anni.
Scosse di minore intensità si succedettero fino al 24 agosto del 79, quando un improvviso scuotimento del vulcano annunciò l’apertura della bocca e l’inizio di una violenta eruzione esplosiva. Una colonna eruttiva di gas e ceneri fuoriuscì dal vulcano, innalzandosi a quote elevatissime. Cominciarono a cadere al suolo i materiali più pesanti, tra i quali, in gran copia, le pomici. Dalla base della colonna eruttiva, intanto, partivano colate di gas, ceneri e pomici, che investirono i centri abitati e le ville rustiche alla base del Vesuvio.
Il giorno seguente, imponenti nubi dense di ceneri scesero a gran velocità lungo i fianchi del vulcano, simili a valanghe, distruggendo e seppellendo gli edifici che avevano resistito alla pioggia di pomici. A eruzione conclusa, l’intera città di Pompei era sepolta da uno strato di circa tre metri formato dalle pomici e dalle ceneri.
Dal primo pomeriggio del 24 agosto una pioggia di pomici si abbatté incessantemente, per circa 18 ore, su Pompei. Diversamente da altri cittadini, le almeno dieci persone che si trovavano nella casa di Polibio al momento dell’eruzione non abbandonarono la casa. Nelle strade e nei vicoli circostanti, nel giardino interno e negli atri si accumularono rapidamente le pomici. La mattina del 25 la parte anteriore dell’edificio, sulla Via dell’Abbondanza, era stata devastata dai crolli, mentre una notevole quantità di pomici aveva invaso i locali interni attraverso gli impluvi e i tetti sfondati. Gli abitanti della casa avevano cercato riparo in due stanze sul retro. A questo punto l’edificio fu investito da una serie di violente ondate di ceneri e gas eruttati dal Vesuvio, simili a valanghe, che abbatterono gran parte della casa e penetrarono nei locali sul retro, causando la morte dei superstiti.

Storia degli scavi
Un primo contatto con l’antica Pompei avvenne nel XVI secolo, quando Domenico Fontana, scavando un canale dal fiume Sarno, portò alla luce alcune costruzioni della città, nelle quali però non riconobbe i resti del centro sepolto nel 79 dopo Cristo dall’eruzione del Vesuvio.
Le estese campagne di scavo avviate dal 1748 per iniziativa di Carlo di Borbone portarono alla scoperta di Porta Ercolano con Via dei Sepolcri. Nel 1770 fu rinvenuta la monumentale Villa di Diomede. Tra il 1760 e il 1770 vennero alla luce il teatro grande, l’Odèion, l’area del Fòro triangolare e il tempio di Iside, che destò scalpore per le decorazioni legate al culto egiziano. Dal 1806 al 1815 fu scoperto il Fòro, cuore della vita sociale e politica della città, mentre negli anni successivi furono individuate le Terme del Fòro, la Casa del Poeta tragico e l’elegante complesso di abitazioni di Via Mercurio. Al 1830 risale il rinvenimento della Casa del Fauno, ricca di raffinate decorazioni in mosaico.
Nel 1863 Giuseppe Fiorelli fu nominato Soprintendente degli scavi. Fu lui a portare alla luce i quartieri sulla Via Stabiana e a definire il metodo per colare il gesso nelle cavità lasciate dai corpi nelle ceneri eruttate, in modo da restituire immagini fedeli delle vittime dell’eruzione. Successivamente furono scoperti importanti edifici: nel 1879-80 la Casa del Centenario con il larario, nel 1884 la Casa delle Nozze d’argento, nel 1894 la Casa dei Vètti con l’eccezionale ciclo pittorico e, nel 1910, la Villa dei Misteri. Di grande rilievo fu lo scavo di Via dell’Abbondanza, che collegava il Fòro con l’Anfiteatro. Nelle più recenti campagne di scavo sono state scoperte la Casa del Menandro con le sue argenterie, la palestra, la porta e la necropoli di Via Nocera.

La mostra

La mostra itinerante Homo Faber, inaugurata a Napoli nel 1999, è stata allestita in vari musei in Europa, Stati Uniti e Giappone tra il 2001 e il 2002. Questa versione online dell'esposizione, che presenta una selezione di oggetti originali, documenti artistici e modelli funzionanti, è un'edizione aggiornata del sito web costruito nel 1999.

Le ragioni della mostra

Intervista al Soprintendente archeologo di Pompei Prof. Pietro Giovanni Guzzo
Pompei, febbraio 1999 (realizzazione Humberto Serra, Roma)

Perché è stato scelto questo argomento per la mostra?

Perché la scienza, la tecnica e l'osservazione della natura nel mondo antico offrono un campo pieno di possibilità, di risultati e di acquisizioni su almeno due livelli fondamentali: il primo, specifico della storia della scienza e della storia della cultura generale; l'altro, relativo alle applicazioni nella vita quotidiana.
Questi due campi, diversi e separati, ma strettamente collegati, aumentano lo spessore della nostra conoscenza generale sul mondo antico e permettono di riflettere sull'organizzazione della vita civile.

Quale tipo di documenti e di testimonianze vengono esposti in mostra?

Pompei, come tutti quanti sanno, presenta una situazione essenziale e importantissima per lo studio dell'antichità, quella cioè di mostrarci le condizioni di vita e l'insieme del contesto quotidiano improvvisamente arrestatosi nella notte tra il 24 e il 25 agosto del 79 d.C., quando l'eruzione del Vesuvio seppellì sotto cinque metri di lapilli e di ceneri consolidate la vita che si svolgeva in questa piccola città della costa campana.
La fine improvvisa e la completa sepoltura della città con tutti i suoi arredi, i suoi abitanti e i suoi processi operativi in corso ha conservato un patrimonio di conoscenze, che stiamo esplorando da due secoli e mezzo.
Dal 1748 a oggi, le continue campagne di scavo hanno portato alla luce nuovi elementi di conoscenza e una sempre più vasta documentazione. Accanto ai monumenti artistici che sono - credo - noti a tutti (gli affreschi, le statue, gli utensili in metallo e in altri materiali), il blocco della vita ci ha conservato cose molto meno note: per esempio, l'erba tagliata il giorno prima dell'eruzione, i cibi, gli animali e tante altre cose che nelle altre zone archeologiche non si sono conservate, perché la vita è continuata e ha consumato i materiali precedenti. Pompei, quindi, insieme a Ercolano, Oplontis, Stabia, permette un ampliamento del campo di conoscenza verso settori, verso domini, che in altri luoghi del mondo antico non sono possibili.
Questo sviluppo delle conoscenze è particolarmente rilevante proprio in quei settori che si riferiscono al modo di vivere quotidiano e, quindi, alle risultanze pratiche delle conoscenze scientifiche degli antichi, grazie alle quali si potevano coltivare i campi, costruire, utilizzare macchine e altri meccanismi per facilitare la vita quotidiana, per tessere, per creare cosmetici, per produrre materiali di consumo.

Qual è il significato della mostra "Homo Faber"?

Lo stimolo è stato offerto dalla coscienza dell'importanza di capire come questo insieme di conoscenze si è costituito e l'uso che oggi se ne può fare.
Le conoscenze che sono alla base della mostra "Homo Faber" sono state costruite attraverso numerosi anni di ricerche, che sono state condotte all'interno dell'attività più generale della Soprintendenza Archeologica di Pompei, grazie alla collaborazione di numerosi gruppi di ricerca che provengono dalle università e dai centri di ricerca più importanti del mondo. Abbiamo qui un esempio eloquente di come la collaborazione internazionale sul piano scientifico possa portare incrementi e avanzamenti della conoscenza in generale. Questa può sembrare una espressione vuota di significato. In realtà, saranno i risultati presentati nella mostra, che ci auguriamo saranno ammirati da un gran numero di visitatori, a riempire di contenuti concreti questa affermazione.
L'Italia e le Soprintendenze archeologiche del Ministero sono i depositari, i responsabili di un enormemente esteso patrimonio relativo al mondo antico, ma questo patrimonio non appartiene evidentemente solamente all'Italia, né tantomeno solamente alle strutture pubbliche che ne curano l'amministrazione e la gestione. Lo sforzo, la linea di azione che deve essere sempre maggiormente ampliata è quella di fare in modo che la conservazione di questo patrimonio ispiri iniziative efficaci perché possa essere sempre meglio conosciuto, conferendogli così un significato attivo nel contesto contemporaneo.

Che novità presenta "Homo Faber"?

Siamo ormai abituati ad allestire e visitare mostre e musei nei quali sono presentate la produzione storico-artistica oppure quella antiquaria, mostre e musei nei quali si succedono affreschi, statue, vasi istoriati, ecc., ammirati come valori in sé.
In "Homo Faber" la scelta è stata diversa. In questo caso i materiali archeologici sono di supporto all'intento forte della mostra, che è appunto quello di dimostrare come l'osservazione della natura, la scienza e la tecnica si sviluppassero e si materializzassero nel mondo antico. Ci auguriamo che questo possa servire ad ampliare lo spessore della riflessione che ogni visitatore di un sito archeologico dovrebbe compiere. Questa nuova impostazione dovrebbe aiutarci anche a vedere in maniera tangibile il concetto forse più difficile che deve assimilare il visitatore di un sito archeologico, cioè quello dello spessore e della dimensione del tempo che ci separa, ma in una certa qual maniera costituisce anche la continuità fra il passato e il presente.
Sicuramente nel mondo contemporaneo, nel quale la tecnologia e la tecnica sono così presenti nella vita quotidiana, il poter comparare le differenze tra le tecnologie usate oggi e quelle usate duemila anni fa, facilita la comprensione di questa distanza temporale. Nel contempo, possiamo osservare come molte delle leggi fisiche che garantiscono il funzionamento delle tecniche attuali erano già note duemila anni fa.
Ecco dunque qui, tangibilmente osservabile, lo stacco e la continuità che costituiscono la carne e il sangue della storia. Ed è solamente attraverso la critica e la conoscenza della storia che l'uomo moderno è veramente attuale, e non una foglia caduca in un tempo indefinito. Ma il tempo è un carattere essenziale dell'uomo, dell'uomo in quanto essere pensante, perché illumina le radici del nostro passato, quelle radici che ci indicano il senso del presente e il cammino verso il futuro.

Il progetto di allestimento

La particolarità di questa mostra archeologica, in cui un'approfondita conoscenza storica del mondo antico si unisce ad una rigorosa ricostruzione scientifica, ci ha portato a progettare un allestimento dove i reperti non sono isolati dal contesto in cui sono nati ma diventano il pretesto per raccontare la vita a Pompei in quel determinato periodo, riunificando così un patrimonio di conoscenze estremamente frammentate.
L'idea forte del progetto è stata un'interpretazione schematica dello scavo archeologico: dalla cenere riemerge il reperto e tutta la città.
Esistono, quindi, due livelli o "strati" di allestimento che alludono ad una stratificazione dello scavo archeologico: il primo 'mostra' gli oggetti o reperti, 'riemersi' dallo scavo, su supporti orizzontali e verticali color cenere, il secondo fa "ricomparire", con l'ausilio di grandi ricostruzioni fotografiche a colori e video, Pompei: oltre il grigio cenere rinasce il colore della vita di Pompei.
Questo dialogo interno-esterno e questi cambi di scala continui (dal reperto agli ingrandimenti fotografici sino alle immagini in movimento dei video) cercano di proiettare il visitatore nella realtà di Pompei facendola sentire come una cosa viva. Homo Faber non 'mostra' soltanto oggetti o situazioni, ma cerca di far capire cosa abbia significato vivere sotto il Vesuvio. (Arch. Stefano Gris)