L’opera di Fra Mauro (attivo ca. 1430-ca. 1459/1464) affonda le proprie radici teoriche nelle riflessioni del francescano Paolino Veneto (ca. 1270-1344), dapprima attivo a Venezia, poi presso il papato ad Avignone e dal 1324 vescovo di Pozzuoli. In un trattato di geografia, intitolato De Mapa Mundi, Paolino definiva la funzione dei mappamondi come rappresentazioni pittoriche delle terre abitabili e dei loro popoli, integrando “scrittura” e “pittura”. In contiguità con la cultura classica greco-romana, che sosteneva la necessità di conoscere la geografia dei popoli al fine di comprenderne la storia, Fra Paolino attribuiva ai mappamondi una funzione pedagogica ed esemplificativa nel quadro escatologico cristiano. Questo è il paradigma seguito da Mauro, che traspose in forma scritta e pittorica tutto ciò che aveva appreso dalle sue fonti testuali, cartografiche e orali.

Dal punto di vista tecnico non è ancora stato appurato come il mappamondo sia stato concretamente redatto. Costruito il supporto ligneo con tre tavole orizzontali tenute insieme da tre aste trasversali, Fra Mauro incollò sulla faccia anteriore quattro grandi fogli di pergamena. Poi, presumibilmente, tracciò la circonferenza che delimita il mappamondo e i quattro diametri che indicano le direzioni dei venti, adottando un ben noto procedimento geometrico che prevede il solo uso del compasso. Su questa semplice costruzione geometrica, forse solo incisa con uno stilo sulla pergamena, andò poi a disegnare i contorni geografici delle terre servendosi di mappe parziali, per la maggior parte andate perdute.

Una di queste è la carta marina redatta nel laboratorio di Fra Mauro, oggi alla Biblioteca Apostolica Vaticana, sovrapponibile quasi perfettamente al mappamondo. Le minime differenze sembrano attribuibili alla deformazione e al restringimento della pergamena su cui è disegnata. Solitamente le mappe venivano riprodotte con il ricalco a lucido, sovrapponendo cioè la pergamena pulita a quella già disegnata, entrambe montate su un telaio di supporto, e osservando il disegno da riprodurre in controluce.

Data la forma e la grandezza delle quattro pergamene del mappamondo, quasi certamente incollate prima di essere disegnate, è presumibile che le mappe parziali siano state copiate per ricalco con il metodo della carta carbone, che consisteva nel cospargere di polvere di carbone il verso della mappa da riprodurre e ricalcare i contorni con uno stilo in modo da lasciare l’impronta sulla pergamena sottostante. Ricalcati i profili costieri, il cartografo procedeva disegnando a occhio il corso dei fiumi, le montagne, le strade, le città, i templi e altri dettagli, per poi completare l’opera, in una fase successiva, con la scrittura dei toponimi e dei cartigli. La densità delle informazioni nell’area mediterranea e nel Nord Europa lascia intendere che, almeno, per queste regioni, disegni e toponimi siano stati redatti simultaneamente. Al di fuori di queste aree, invece, molti toponimi sono scritti in minuta; solo successivamente i copisti li avrebbero trascritti in bella copia con inchiostro nero, azzurro o rosso. L’analisi multispettrale ha messo in evidenza solo pochissimi interventi di correzione, per di più di scarsa importanza, sia dal punto di vista conoscitivo sia sul piano estetico. Questo lascia supporre che il mappamondo riproduca un modello già consolidato.